educazione e pedagogia, montessori, tutti diversi

Unici

Non è semplice, no.

Siamo sempre portati a paragonarci, a metterci a confronto, come se l’altro fosse costantemente il nostro metodo di paragone.

Così facendo, ci chiediamo inconsciamente di omologarci.

Sparisce la personalità, svanisce la differenza, si perde il singolo.

Voglio ribadire ancora una volta come credo sia necessario insegnare ai bambini la diversità e non l’uguaglianza.

E questo punto di partenza dovrebbe essere ancora di più essenziale nel momento in cui si parla di disabilità o si lavora con essa.

Partiamo tutti da un semplice “SIAMO TUTTI DIVERSI” invece che da un falso “siamo tutti uguali”.

Perché l’uguaglianza, quella che noi adulti sbandieriamo, non è visibile ne tangibile agli occhi di un bambino.

Immagina questa semplice riflessione, mettiamoci per un momento nei panni di un ipotetico bambino:

“Perché mi dicono che Riccardo è uguale a me? Non capisco…..

Io cammino, lui no.

Io mangio con la bocca, lui con un tubicino nella pancia.

Io parlo, lui indica con gli occhi e nessuna parola.

Facciamo la stessa cosa, è vero, ma in modi diversi. Non siamo uguali.

La maestra dice che due cose sono uguali quando si assomigliano tanto tanto, hanno la stessa forma, lo stesso colore, lo stesso spessore……

Io Ho i capelli riccioli e marroni, Riccardo corti e biondi.

Lui porta gli occhiali, io no.

A Riccardo piace il the al limone, a me piace il succo di frutta.

Lui ha due fratelli, io sono figlio unico.

A me piace la musica, a Riccardo fa paura.

Non siamo uguali.

Siamo diversi.

E va bene così.”

Ecco…perché non proviamo a passare un messaggio del genere?

“SIAMO TUTTI DIVERSI E VA BENE COSI’.”

Allora si che cominceremo ad accoglierci, ad accettarci e a riconoscerci.

Solo così ci sarà data la possibilità di riconoscerci appunto, come UNICI.

Invitiamo i bambini a coltivare i loro tratti peculiari, sono quelli che li rendono speciali.

Nella società attuale, invece che essere unici, si preferisce essere normali.

Gridiamo invece forte un “IO SONO IO, E TU SEI TU”.

Uno coltiva la passione per il calcio, uno per la storia, uno adora gli animali e uno macchine e motori, uno è taciturno, uno chiacchierone, uno adora essere massaggiato, uno adora massaggiare, uno legge, uno scrive, uno sogna, uno canta, uno parla tra sè, uno preferisce discutere, uno riflette, uno sorridere per chiedere.

Quanti “uno” fanno parte del nostro essere, quante parti ci sono.

La parola UNICO deriva da questo sentire, da questo essere uno. Unicus, da unus “uno”: che è il solo esistente, che non ha uguali.

Ogni giorno spero che i miei quattro figli possano sempre sentirsi unici.

E mi auguro con tutto il mio cuore che possano continuare a nutrire nel loro intimo quella scintilla della diversità.

Non è semplice, no.

Ma proviamoci, almeno.

Francesca

educazione e pedagogia, maternità

La Famiglia: l’ultimo custode degli abbracci

Mai come in questo momento storico la famiglia svolge un ruolo fondamentale.

Non solo per gli slalom che si trova costretta a fare tra lavoro, dad, quarantene, ma anche e soprattutto per le peculiarità educative che solo lei in questo momento mantiene.

Mi sono posta questa domanda, guardando i miei figli, ed in primis il mio ultimo figlio, poco più di un anno di vita…questa è l’unica realtà che conosce. Per lui il mondo è questo, non conosce “un mondo come era prima”.

Ecco dunque la mia riflessione:

“mentre tutto il mondo cambia e si adegua a questa emergenza sanitaria, dove si scardinano i pilastri della socializzazione, dove si copre il volto e non si lascia più trasparire le emozioni e neanche i sorrisi, dove la distanza è l’imperativo categorico, ecco mentre tutto cambia dove viene conservato il ricordo del mondo che era, il mondo prima?

Dove sono finiti i baci, gli abbracci, le strette di mano, i sorrisi a bocca aperta???

Chi continua a dispensarli? Dove continuano a vivere?”

In FAMIGLIA.

Solo all’interno della famiglia si mantengono vive e intatte queste risorse.

Solo all’interno della famiglia i bambini vedono il volto intero dell’adulto.

Solo in famiglia ricevono baci e la cosa più importante è che solo in famiglia i bambini in questo momento ricevono abbracci.

Ecco io sono della teoria che gli abbracci oltre ad essere un posto perfetto in cui abitare, sono anche curativi, hanno un immenso potere. Grazie all’ossitocina, l’ormone dell’amore, durante gli abbracci nel nostro corpo si infonde una sensazione di benessere diffuso. Si riducono ansia a stress.

Adesso non si abbraccia….non si abbraccia più….e risentiamo di ciò, ne stiamo già risentendo. E chi ne risentirà in modo ancora maggiore domani, sicuramente saranno i bambini.

Loro, i bambini, il futuro. Il nostro futuro.

La nostra società è troppo improntata sul passato, così facendo si smette di vivere il presente e non si riesce a immaginare il futuro, né provare empatia per gli altri al pensiero del futuro.

Le famiglie devono sapere di essere gli unici detentori in questo momento del “Ricordo degli abbracci”. I Custodi.

Un po’ come in quel film dove lui conserva l’ultimo vaso di terra in un mondo ormai completamente sommerso d’acqua.

Così il mio è un vero e proprio appello……..

ABBRACCIATE I VOSTRI BAMBINI, ABBRACCIATELI ANCORA, E ANCORA UNA VOLTA.

Affinché non ci si dimentichino come fare, affinché rimanga il sapere vivo nelle nostre e nelle loro menti.

Un anno sembra poco ma in realtà per un bambino è moltissimo tempo. E forse anche per noi adulti lo è.

Così di nuovo abbracciate i vostri bambini e siate consapevoli del bagaglio umano che state tramandando. State custodendo un valore, un tesoro.

Domani, quei bambini sapranno ancora abbracciare perché nonostante tutto, qualcuno oggi avrà continuato ad abbracciarli.

Francesca Maggianetti

educazione e pedagogia, gravidanza e parto, maternità

Portare Te. .. .. . ..

“Ti ho portato dentro per nove lunghi mesi, e forse qualcosa in più.

Ti ho portato nei miei pensieri ancora prima che tu fossi reale, prima di accorgermi di te.

Ti ho portato dentro per così tanto che il tuo odore è come se fosse il mio, sei una parte di me.

Ti ho portato dentro e insieme facevamo ogni cosa, io andavo e tu venivi con me, io mi fermavo e tu ti fermavi con me.

Così abbiamo imparato a conoscerci, a conoscere i nostri ritmi. Insieme gli abbiamo scoperti.

Eravamo due cuori e un solo fare.

E allora perché poi quando si nasce, il mondo fuori vorrebbe che di punto in bianco smettessi di portarti?

Perchè dovrei affidare il tuo piccolo essere a delle cose inanimate, fredde, metalliche piuttosto che le mie calde braccia, le mie mani e il mio corpo?

Per nove mesi sei stato con me. Ti sei formato in me.

Perchè non posso lasciare che a poco a poco tu ti abitui al mondo? Con i tuoi tempi…..

Ecco si….continuerò a portarti….

Posso ancora portarti ma in un modo diverso.

A stretto contatto, noi due pelle a pelle. In fascia, cuore a cuore, sulla schiena ad ascoltar respiri.

Ti porterò con me fino a che non saprai andare, fino a che non vorrai andare.

Ma anche allora le mie braccia resteranno per te un luogo sicuro dove poter tornare ogni volta che vorrai, ogni volta che ne avrai bisogno, ogni volta che vorrai riposare, ogni volta che vorrai sentirti protetto.

E comunque alla fine, amore mio piccolo, credo che non smetterò mai di portarti, neanche quando sarai così grande da guardarmi dall’alto e ridere di ciò, o quando la tua strada ti condurrà altrove lontano verso mari sconosciuti, o quando le mie mani saranno piccole e tu sarai tanto grande da non riuscire a stare nelle mie braccia…….

…..No, neanche allora smetterò di portarti.

Sarà il mio cuore che continuerà a portare te.

…con amore mamma Francesca.

educazione e pedagogia

“Il Parlatore Tardivo” : parliamo di linguaggio con la logopedista Lucia Cavani

Chi sono i parlatori tardivi?

‘Mio figlio ha 2 anni e ancora non parla.’ Spesso sento mamme dire queste parole.

Per questo motivo ritengo che sia necessario far chiarezza sull’argomento.

I bambini di 24 mesi che pronunciano meno di 50 parole oppure ne dicono di più, ma non sanno combinarle in frasi di due elementi (ad esempio ‘mamma pappa’) si definiscono parlatori tardivi.

E’ preoccupante? 

Non serve farsi prendere dal panico, però è giusto che questi genitori siano informati su come agire per far sì che il bambino riesca a raggiungere la curva di sviluppo fisiologico, affinché a 36 mesi non si instauri un vero e proprio disturbo di linguaggio.

Come si può intervenire?

Ritengo fondamentale un intervento precoce per promuovere maggiori progressi linguistici a breve termine e ridurre gli effetti cumulativi del ritardo del linguaggio, portando il bambino ad avere una curva di sviluppo il più vicino possibile a quella fisiologica. 

Inoltre l’intervento precoce può limitare l’impatto che questo problema può presentare sullo sviluppo emotivo e sul comportamento del bambino.

Il primo tipo di intervento che si effettua è il counseling: il professionista si interfaccerà con i genitori, spiegherà il modo migliore per interagire con il bambino e i caregivers verranno aiutati a creare un contesto adeguato che sia un terreno fertile per la crescita linguistica del bambino.

Cosa è importante nella comunicazione?

L’ascolto e l’attesa sono i prerequisiti essenziali per una buona comunicazione. 

Il primo consiglio da dare al genitore è quello di ascoltare il proprio bambino senza sostituirsi a lui, ad esempio nel dare la risposta al posto del bambino senza attendere. Molto spesso infatti il bambino non risponde subito alla richiesta e il genitore si sostituisce a lui, mentre sarebbe opportuno saper aspettare, favorendo in questo modo la comunicazione genitore-bambino. 

Il bambino deve usare fin da subito parole per rispondere?

No, all’inizio dovremmo accontentarci di un corretto atto comunicativo che può consistere per esempio in uno sguardo e un’indicazione o in uno sguardo unito ad un sorriso.

Per fare un esempio, alla domanda: ‘La vuoi la mela?’ il bambino in un primo momento non vi risponderà sì, ma vi guarderà, guarderà la mela e sorriderà. In quel momento voi verrete a conoscenza della volontà del bambino e lo scambio comunicativo sarà stato funzionale.

In che modo può essere modificato il contesto?

Le domande da porsi sono semplici: l’ambiente è rumoroso? Vi sono troppi giochi? Il bambino ha molte distrazioni mentre ci rivolgiamo a lui? 

È utile ridurre gli stimoli ambientali per favorire la comunicazione.

Bastano semplici accorgimenti, come spegnere la televisione eliminando così i rumori di sottofondo, definendo momenti ben precisi in cui il bambino può ascoltare la musica o guardare un cartone animato.

Il bambino deve avere a disposizione un numero di giochi ristretto con sempre la stessa collocazione, così che possa concentrarsi solo su questi.

Tutto questo aiuta il bambino a sintonizzarsi sul canale comunicativo e consente di creare piccole occasioni in cui il piccolo può esprimere una necessità, anche solo attraverso uno sguardo o un gesto.

Dobbiamo applicare tutti questi accorgimenti nello stesso momento?

È importante non cambiare completamente le abitudini del bambino. È più appropriato modificare un unico comportamento alla volta, piuttosto che fare tanti cambiamenti e non riuscire a stabilizzarne nemmeno uno. 

Il bambino deve essere gratificato?

È fondamentale che il bambino sperimenti successo e gratificazione durante tutto il percorso, perché se l’ambiente è sereno questo produrrà risultati migliori e in tempi minori.

Chi è in conclusione il parlatore tardivo?

Il parlatore tardivo è il bambino che ha bisogno di un piccolo aiuto per riuscire a raggiungere lo sviluppo fisiologico, per questo motivo affrontare questo argomento è utile affinchè più persone possibili ne siano a conoscenza, imparando così a riconoscere il problema ed evitare che questo si trasformi in un vero e proprio disturbo di linguaggio, più difficile da modellare.

Lucia Cavani



Conosciamo meglio l’autrice di questo articolo:

Mi chiamo Lucia Cavani, sono una logopedista laureata all’università di Pisa e specializzata in disturbi dell’apprendimento presso la S.I.P.P, Società Italiana di Psicologia e Pedagogia. Da cinque anni lavoro nella riabilitazione di bambini e ragazzi con disabilità comunicativa, relazionale e del linguaggio presso l’associazione Onlus il Sogno di Castelnuovo di Garfagnana. Ho uno studio logopedico privato in cui mi occupo di comunicazione, linguaggio, apprendimento, voce e disturbi della deglutizione di adulti e bambini.

.

gravidanza e parto, maternità

9 mesi fuori….l’esogestazione

“9 mesi.

9 mesi fuori l’uno dall’altro, la nostra esogestazione.

9 mesi in pancia, 9 mesi fuori, il tempo necessario per donarti al mondo.

9 mesi e muovi i tuoi primi passi per esplorare ciò che ti circonda. Ti muovi curioso e affascinato da tutto, la meraviglia trova casa nel tuo cuore e aleggia nei tuoi occhi.

9 mesi e sei della vita, appartieni alla vita, ti immergi in essa, piccolo uomo.”

Quanto sono veloci questi mesi però, come scivolano tra le dita. Eppure a qualcuno sembrano infiniti. Per la società in cui viviamo equivalgono ad un tempo intollerabile: troppo tempo da dedicare ad un neonato. Così la madre viene reinserita a lavoro solo dopo 3 mesi dalla nascita del bambino. Dopo neanche una settimana di vita, secondo la credenza comune, il bambino deve essere sottoposto a quanti più stimoli possibili, aspirapolvere acceso, tv, telefono, musica e sobbalzi per addormentarsi.

Il neonato deve “abituarsi” dicono.

Così già appena nato viene spostato da una persona all’altra, cambiato pannolino in qualunque posto si trovi con noncuranza generale, messo a terra, spostato, messo nel box, messo nella cullina, nel dondolo e ancora via un altro giro di giostra, sempre pronti a danzare.

Viene poi usato il famoso silenziatore dei neonati : il ciuccio. Così si deve abituare e non dare fastidio.

Mi chiedo….che razza di società siamo?

Una società che non ha tempo per i piccoli neonatini, come se i futuri uomini non fossero gli stessi neonati che abbiamo davanti.

Non c’è tempo per fermarsi ad ascoltare un neonato, ad adorarlo, a vederlo piano piano scoprire il mondo.

E’ che l’egoismo incalza il tempo, e il tempo donato ad altri sembra tempo tolto a sé stessi.

Ecco, io credo che sia esattamente il contrario.

Il tempo che doniamo è tempo che ci ritorna. Sempre.

Ci sono molte culture invece, soprattutto le culture orientali, dove questo tempo, l’esogestazione, è perfettamente contemplata.

In culture Indonesiane ad esempio il neonato non viene messo a terra fino a che non compie i 6 mesi, non ha alcun contatto con il terreno né con estranei. Questo perché il periodo dopo il parto è considerato sacro. Secondo questa credenza il bambino appena nato rappresenta ancora una forma di divinità, è ancora venerato. Dopo sei mesi circa il bambino è pronto a divenire forma terrena e allora viene organizzata una vera e propria celebrazione in occasione della prima volta in cui i piedini di quel bambino toccano il terreno, si ricongiungono quindi alla terra.

Che bello che è credere e riconoscere nel bambino appena nato un essere superiore. E’ l’adulto che impara dal bambino, e non il bambino che si adatta all’adulto.

Anche in molti popoli indiani la donna subito dopo il parto mantiene un periodo di protezione dagli agenti esterni, viene accudita, nutrita, accompagnata, affinché possa al meglio occuparsi del suo bambino. Non escono subito fuori, ma vengono presentati alla comunità dopo qualche tempo, proprio per dar modo alla nuova mamma e al bambino di riorganizzarsi alla nuova vita separata.

Antichi saperi sanno quanto questo periodo sia fondamentale, sanno come da questi nove mesi fuori si sviluppa poi il futuro di quel bambino.

Allora perché non riscoprirli, non richiamarli alla memoria del nostro “popolo occidentale” che invece sembra aver dimenticato questi ritmi?

9 mesi dentro e 9 mesi fuori…..questo il tempo necessario.

educazione e pedagogia, montessori

“Impariamo a lasciare andare le foglie”: i bambini e la lezione dell’autunno

Basta ricercare nella natura per trovare i più grandi maestri.

Come dice Maria Montessori l’ambiente stesso è educativo e noi disponiamo di una natura meravigliosa che ci porta in luoghi inimmaginabili e ci da lezioni uniche.

Basta ascoltarlo.

Così ascoltiamo con orecchi, occhi e cuore questa stagione in cui ci troviamo….l’autunno.

Ognuno di noi.

“Immaginati albero, immagina di vedere piano piano colorare le tue foglie, loro cambiano, e con loro i pensieri, le idee, i concetti, le aspirazioni, i desideri.

Tutto si veste di un abito nuovo. E tu le lasci cambiare, e mentre loro mutano tu diventi più bello, terribilmente unico e speciale, assumi una luce che prima non avevi.

Le foglie sono sempre le stesse ma con un colore diverso e tutto sembra più denso di essenza.

Diventano gialle, rosse, arancio, marroni…..e eccoci al punto…..adesso devono cadere, perché il ciclo della vita possa compiersi e ancora una volta trasformarsi  in altro.

Ecco che nel tempo in cui indossi il tuo vestito migliore, devi lasciarlo andare, te ne devi spogliare.

E ritrovarti nudo, spoglio, per riscoprire davvero l’essenza pura del tuo essere.

Per poterti reinventare ancora una volta, da capo, un nuovo te.”

Cavolo! L’autunno che grande lezione porta con sè.

Imparare a lasciare andare.

Così cogliamo questa grande occasione e accompagniamo i bambini in questa delicata esperienza, diamogli modo di comprendere che tutto passa e ciclicamente ritorna, che tutto si rinnova, sempre ancora una volta.

C’è sempre un altro inizio e una possibilità di cambiare, la vita lo suggerisce, la natura lo mostra.

educazione e pedagogia, tutti diversi

Tutti diversi! Mamma Valeria ci racconta…

Spesso si parla di uguaglianza e ai bambini si insegna che siamo tutti uguali…un concetto difficile, profondo e allo stesso tempo fuorviante..si cerca di rendere tutti standard per quanto riguarda caratteristiche, aspetto, carattere, capacità e molto altro….quando la realtà invece è che non esiste uno uguale a un altro….

Insegnamo allora ai bambini ad essere diversi e riconoscersi come tali…non siamo tutti uguali ma siamo tutti diversi….. E va bene così!!!

Allora e solo allora potremo riconoscerci e accoglierci…… perché ognuno è speciale proprio perché unico.

A tal proposito ce ne parla Valeria, con la sua storia da mamma e da donna, sviscera alcuni aspetti della diversità e ci suggerisce di rimanere se stessi perché in quello sta racchiusa la nostra forza….

Da quando ho scoperto la neurodiversità di mio figlio mi sto aprendo all’ipotesi che anche io stessa sia una ‘neurodiversa’.

Non so dove mi porterà questo mio pensiero, ma intanto mi sta dando alcune risposte a domande irrisolte che stavano lì da anni.

Da bambina ho sempre avuto uno spiccato spunto di iperattività, se non sempre fisica sicuramente mentale.

Ho un’organizzazione interna tutt’altro che lineare e spesso tendo a procrastinare le cose che mi fanno più fatica, mentre porto avanti, con molta accuratezza e meticolosità, quelle che mi appassionano…

E, negli anni, mi hanno affaticato e appassionato cose differenti; e così sono apparsa attenta e scrupolosa un po’ in tutti i campi.

Quando ero piccola tutto questo sapevo nasconderlo bene, ho compensato laddove non arrivavo, attingendo dall’abbondanza nelle mie passioni… e tutto per apparire “conforme”… 

Sempre al passo, omologata ad una società che, altrimenti, mi avrebbe visto diversa…

Ma io lo sono…

Sono me stessa in tutto quello che faccio…

Sono caotica e minuziosa…

Sono delicata e spartana…

Sono forte e fragile…

E queste, oggi, sono per me grandi ricchezze…

Ma queste, ieri, sono state enormi sofferenze…

Guardatevi attorno…

Tante persone sono come me…

Date loro fiducia e spazio e sapranno essere uniche!!!

Per noi e per i nostri figli tutto diventa complicato. Eppure non esiste un vademecum… Se nella nostra società ammettessimo il rumore ed il movimento allora probabilmente ci sarebbero meno problemi, ma i bambini DEVONO essere composti, ubbidienti, silenziosi, fermi e noi siamo già tagliati fuori in partenza…

Il problema della nostra società è l’OMOLOGAZIONE…

Si, perchè se non si è CONFORMI ad uno standard, non andiamo bene…

CHI stabilisce COSA non è dato sapersi..

Dobbiamo essere ‘mediamente’ intelligenti; apprendere, leggere, scrivere, colorare, fare di conto… ma anche raccontare, ascoltare, ripetere e coniugare…

A pochi importa se abbiamo fantasia, memoria, creatività, musicalità, energia…

A casa nostra non esiste omologazione; si è diversi, unici, fuori dagli schemi…

Io stessa non sono omologata ad alcuno standard; sono stata un foglio a quadretti in un quaderno a righe, un poligono irregolare in un mondo di cerchi, un numero primo in una tabellina del due…

Ecco, sentendomi così posso capire come si senta mio figlio ed è un grande, grandissimo passo avanti verso una completa accettazione, con serenità e consapevolezza… il resto, quello che ci fanno intendere e insinuare, conta poco…

Vorrei che anche le comunità sociali (scuola, lavoro, sport, squadre, gruppi…) potessero capire e crescere con questi concetti e che, al di là dell’educazione necessaria e fondamentale, i nostri figli hanno sicuramente bisogno di tanta autostima, incoraggiamento, appoggio, comprensione, ascolto…

Con tutti i loro difetti ed un bagaglio di pregi potranno scalare il mondo!!!

Valeria “

Grazie di cuore Valeria…

#tuttidiversi

educazione e pedagogia

“Parlar di sé”: quando i bambini raccontano.

“Mio figlio non mi racconta niente!!!”

Mi capita spesso di sentire genitori che si intristiscono perché il loro bambino non racconta quello che ha fatto durante la giornata, cosa ha fatto all’asilo o a scuola, con quali compagni ha giocato, e si chiedono perché.

Il “non sapere” crea disagio, ma anche senso di non controllo, la situazione sfugge. Molte volte crea invece la sensazione del rifiuto, del “non mi vuole nel suo mondo”. Quello che mi sento di dire è che spesso questi sono solo pensieri dell’adulto che non corrispondono assolutamente con il reale sentire del bambino.

Facciamo un passo indietro e domandiamoci:

“Ma il mio bambino è abituato a raccontare? Sa che può raccontare ciò che vuole nella vita di tutti i giorni?”

Ed io…. “rimango ad ascoltarlo?”

I nostri bambini non sono abituati a raccontare. E noi adulti non sappiamo ascoltare e non forniamo loro l’esempio. Quante volte ci fermiamo noi a raccontare a loro cosa abbiamo fatto durante la giornata?

I bambini apprendono molto per imitazione, quindi come posso pretendere che il mio bambino faccia una cosa se io sono la prima a non farlo.

Siamo molto condizionati inoltre su quello che deve o non deve essere raccontato. C’è poco spazio per la singolarità e le diversità di ciascun bambino. Spesso diciamo che non raccontano perché non sappiamo ascoltare, vorremmo sentire qualche altra cosa uscire dalle loro bocche.

Tutti devono essere uguali, rispettare standard uguali, modelli comportamentali uguali dettati da convenzioni sociali fatte per altro da adulti. A tutti i bambini “deve” piacere la pizza, i cartoni del momento, le principesse, le fate, i super eroi.

E dico “deve”, perché questo è il sentire che ci sta dietro; se porto mio figlio al cinema a vedere l’ultimo film uscito pretendo che si diverta, pretendo che gli piaccia e che sia almeno riconoscente perché l’ho portato. E quando gli chiedo “dai racconta ai nonni come è stato”, lui tutto entusiasta deve raccontare che il film era bellissimo, che il cinema è “fighissimo”, che la storia parlava di. . ., che c’era tanta gente, che abbiamo mangiato i pop corn. Ma è un sentire adulto e non corrisponde a quello che è il sentire e la percezione del bambino.

E se per lui non fosse così ?

Se quel bimbo volesse parlare d’ altro?

Tipo della lumaca che ha visto mentre usciva di casa? Del sasso lungo la strada? Di come era buffa la sedia su cui si è seduto. . .di come era bello correre per arrivare?

Sarebbe sbagliato, perché non  si corre? Perché che senso ha raccontare quando si corre?

Ma avete mai provato a correre??!!?!??

Ma non il correre imposto, tipo corsa per dimagrire o per far finta di essere atletici, correre perché volete, quel correre che richiama tutta la spinta primitiva dentro ad essere liberi e vivi. Così è il raccontare.

I bambini sono vivi e molto spesso ce ne dimentichiamo.

I bambini raccontano il loro essere vivi e molto spesso siamo noi che non riusciamo ad ascoltarli, perché ci portano in mondi che ci risultano lontani, mondi che abbiamo sperimentato ma poi abbiamo perso.

I bambini sanno raccontare ma spesso non diamo loro la libertà per farlo e il Tempo per essere ascoltati.

Creiamo insieme ai nostri figli allora uno spazio, un luogo anche fisico, un momento della giornata, dove poter parlare di sé, io come genitore o come adulto, tu come figlio o bambino, io come io, tu come tu.

Un luogo senza pretese, un luogo senza giudizio.

Partiamo noi raccontando quello che abbiamo fatto durante la giornata, le cose che ci hanno colpito, e soprattutto le sensazioni che sentiamo dentro: “Sai oggi sono stata a lavoro e dove lavoro io ci sono tanti fogli bianchi, e una grande seggiola marrone, molto molto comoda…. ad un certo punto è arrivata….”.

Non facciamo riferimento a cose sue, del tipo “sai c’era un piatto pieno di caramelle sul tavolo, quelle che ti piacciono tanto ricordi?” stiamo parlando di noi, non di lui.

Siamo due cose distinte. I figli non ci appartengono.

Una volta terminato non chiediamo a lui “adesso tocca a te dai racconta!” NO.

Se vorrà farlo potrà farlo, se non vorrà sarà libero di astenersi. Rimandiamogli il fatto che “va bene così come è”, qualunque sia la sua scelta. E accogliamo il fatto che può non voler raccontare a noi.

Ma vedrete che come per magia il nostro bambino a poco a poco comincerà a raccontare di sé, sorprendendoci, ed imparerà a farlo semplicemente perché gli sarà concesso e si sentirà ascoltato senza giudizio, senza pretese, e  diventerà la cosa più naturale del mondo.

Francesca Maggianetti

Pedagogista clinica, Educatrice Montessoriana

gravidanza e parto, maternità

Gocce di Latte

Gocce di latte la vita ti dà

bianche, leggere, e ti chiedi……sarà?

Sarò capace di allattare veramente?

Cavoli alla fine non sembra facile per niente!

Mille pareri e un sacco di affari

tiralatte, coppette e rispetta gli orari!

Ma io non voglio un secondo lavoro

voglio allattare il mio bimbo e dormir sogni d’oro.

E se poi non riesco e il latte non viene????

forse davvero non ho capito bene.

Ma in tutto il caos e i consigli a milioni

tutti son bravi con gran paroloni!

Ma perchè invece qualcuno ad ascoltare non resta

ed attenzione alla mamma un pò di più presta?

Sarebbe importante accoglierla e rispettare,

rassicurarla e dirle “Certo che riuscirai ad allattare!”

Ogni mamma di dare il suo latte ha tutto il bisogno,

per lei e il suo bambino insieme è un sogno.

Ogni mamma deve sapere che cosa può fare

bere tanta acqua ad esempio può aiutare!

Ma c’è una cosa ancor più importante,

far sì che il pensiero lasci andare il “pesante”,

lasciar che l’istinto sia l’unico a guidare

quel dolce abbraccio e il suo ciucciare.

Così “Fai pensieri felici cara mammina!

fai ciò che ti piace da sera a mattina.”

Ed ecco che a poco a poco le sentirai arrivare

le gocce di latte del vostro immenso mare.

Francesca Maggianetti

educazione e pedagogia

Nonni e Bambini: il rapporto educativo attraverso le storie

“Ecco….fammi rimanere qui vicino, sento la vita che mi chiama, sento te nonno che mi racconti…..”

Credo davvero che i nonni siano un grande tesoro, a livello affettivo sicuramente ma anche e soprattutto a livello pedagogico: l’educazione passa attraverso le loro voci, i loro visi, le loro storie….

In passato ,fino alle grandi riforme degli anni 60, era comune che ogni famiglia avesse al proprio interno i così detti “nonni”.

Con il passare del tempo, l’innalzamento della soglia di concepimento del primo figlio e il prolungamento dell’età della pensione è molto più difficile che questa situazione si verifichi.

Questo in realtà era un immenso patrimonio nelle mani delle generazioni future, i piccoli “nipotini”.

I nonni trasmettono attraverso la relazione con i bambini un gigantesco bagaglio culturale, morale e affettivo vero e proprio, formato negli anni dalle memorie, dalle conoscenze acquisite e soprattutto dal proprio vissuto.

Un aspetto di importanza notevole è che il rapporto nonni-nipoti è investito di una carica affettiva molto differente da quella genitoriale. Proprio perché carico di emotività il rapporto costituirà la base per un  grande insegnamento spontaneo e facilitato. In questo viene riscontrata la grande valenza educativa di tale rapporto.

I nonni inoltre, molto spesso sono gli unici che regalano ai bambini la cosa più importante : IL TEMPO.

Sembra banale, ma in una società odierna dove tutto è molto frenetico e anche gli stessi rapporti lo sono, far riscoprire ai bambini, e quindi dar loro l’opportunità di poter sperimentare  un tempo lento, fa si che possano imparare a vivere le cose nella loro dimensione umana.

Inoltre il tempo ha una sua componente fondamentale che viene trasmessa e cioè la gratuità, e non è facile far capire ai bambini che ci sono alcune cose che non si devono comprare o conquistare, ma sono semplicemente donate da altri. È un modello al quale i bambini attingeranno se viene insegnato loro.

Viene ora spontaneo domandarsi “ma come i nonni svolgono tutto questo?

Attraverso le storie.

Raccontare le favole o storie è il più grande canale di insegnamento, a mio avviso che un nonno possa trasmettere ad ogni bambino, non necessariamente al proprio nipote.

Perché le storie?

Le storie nascono per raccontare ai bambini fatti, avvenimenti, idee, difficilmente comprensibili se spiegati come farebbe un adulto, perché il bambino non ha lo stesso bagaglio di esperienze che acquisiamo con il tempo e quindi non può attingervi. Le storie servono per poter aiutare i bambini a risolvere situazioni problematiche, lasciano passare un insegnamento morale.

Ogni storia, vera, inventata, fantastica che sia, porta al suo interno sempre una struttura ben precisa; troviamo uno o più protagonisti (polo positivo), che si trovano improvvisamente di fronte a un problema (polo negativo) e devono cercare di risolverlo. Questa modalità può aiutare il bambino a concepire che ogni problema in realtà ha una soluzione o quantomeno porta in una certa direzione. Possono essere percepiti così un prima e un dopo, un susseguirsi di eventi, un divenire. Vengono dati al bambino delle strategie di risoluzione dei problemi, viene insegnato che è attraverso le proprie azioni che i protagonisti trovano una soluzione, e quindi percepiranno il concetto che ogni azione ha in se una reazione.

Quali storie?

“Le storie sono infinite”.

 A mio personale avviso la miglior favola che un nonno possa raccontare è la propria STORIA PERSONALE, ovvero la storia della propria vita, semplicemente.

Raccontare la propria storia, grande o piccola.

Raccontare aiuta a ricordare, e fa sì che si venga ricordati.

Ognuno di noi ha il ricordo di un “nonno” che racconta. Ma che cosa racconta?

Se riflettiamo un attimo ci accorgiamo che sicuramente  racconta del suo passato la sua storia, quando lui era bambino.

Quindi cari nonni, ai bambini raccontate la vostra storia.

Come si racconta?

Di seguito un piccolo pro memoria di cosa è importante ricordare quando si racconta ai bambini.

  • I bambini non hanno la percezione del tempo come la nostra, per loro un’ ora corrisponde ad una vita.
  • I bambini piccoli non hanno il senso dell’ umorismo, non comprendono le battute, questa sarà una capacità che si affinerà nel tempo.
  • I bambini non comprendono le similitudini, gli eufemismi e le costruzioni grammaticali difficili se non spiegate : se ad un bambino dite “mi ha spaccato il cuore”, intendendo che mi ha ferito nei sentimenti, loro capiranno che qualcuno come lo spaccalegna ha spaccato con qualche cosa il vostro cuore.  Se dite “devi portare pazienza”, è probabile che vi rispondano “e dove la devo portare?”
  • Ricordatevi di usare un linguaggio semplice e chiaro ma NON omettete detti popolari o modi di dire propri del posto o della vostra vita, arricchiranno il loro bagaglio.
  • Non abbiate paura di lasciar trapelare le emozioni legate a quei ricordi, “belle o brutte” che siano, (perché ricordate non esistono emozioni belle o brutte, ognuna ha una sua specifica funzione!)
  • Accompagnate il racconto con delle foto inerenti la storia che state raccontando, l’immagine viene percepita come molto accattivante ed il linguaggio visivo è molto più immediato, aiuta e integra il linguaggio verbale.

Che sia allora un Buon Raccontare…..perchè in fondo NOI SIAMO UN RACCONTO.