“Ti ho portato dentro per nove lunghi mesi, e forse qualcosa in più.
Ti ho portato nei miei pensieri ancora prima che tu fossi reale, prima di accorgermi di te.
Ti ho portato dentro per così tanto che il tuo odore è come se fosse il mio, sei una parte di me.
Ti ho portato dentro e insieme facevamo ogni cosa, io andavo e tu venivi con me, io mi fermavo e tu ti fermavi con me.
Così abbiamo imparato a conoscerci, a conoscere i nostri ritmi. Insieme gli abbiamo scoperti.
Eravamo due cuori e un solo fare.
E allora perché poi quando si nasce, il mondo fuori vorrebbe che di punto in bianco smettessi di portarti?
Perchè dovrei affidare il tuo piccolo essere a delle cose inanimate, fredde, metalliche piuttosto che le mie calde braccia, le mie mani e il mio corpo?
Per nove mesi sei stato con me. Ti sei formato in me.
Perchè non posso lasciare che a poco a poco tu ti abitui al mondo? Con i tuoi tempi…..
Ecco si….continuerò a portarti….
Posso ancora portarti ma in un modo diverso.
A stretto contatto, noi due pelle a pelle. In fascia, cuore a cuore, sulla schiena ad ascoltar respiri.
Ti porterò con me fino a che non saprai andare, fino a che non vorrai andare.
Ma anche allora le mie braccia resteranno per te un luogo sicuro dove poter tornare ogni volta che vorrai, ogni volta che ne avrai bisogno, ogni volta che vorrai riposare, ogni volta che vorrai sentirti protetto.
E comunque alla fine, amore mio piccolo, credo che non smetterò mai di portarti, neanche quando sarai così grande da guardarmi dall’alto e ridere di ciò, o quando la tua strada ti condurrà altrove lontano verso mari sconosciuti, o quando le mie mani saranno piccole e tu sarai tanto grande da non riuscire a stare nelle mie braccia…….
9 mesi fuori l’uno dall’altro, la nostra esogestazione.
9 mesi in pancia, 9 mesi fuori, il tempo necessario per donarti al mondo.
9 mesi e muovi i tuoi primi passi per esplorare ciò che ti circonda. Ti muovi curioso e affascinato da tutto, la meraviglia trova casa nel tuo cuore e aleggia nei tuoi occhi.
9 mesi e sei della vita, appartieni alla vita, ti immergi in essa, piccolo uomo.”
Quanto sono veloci questi mesi però, come scivolano tra le dita. Eppure a qualcuno sembrano infiniti. Per la società in cui viviamo equivalgono ad un tempo intollerabile: troppo tempo da dedicare ad un neonato. Così la madre viene reinserita a lavoro solo dopo 3 mesi dalla nascita del bambino. Dopo neanche una settimana di vita, secondo la credenza comune, il bambino deve essere sottoposto a quanti più stimoli possibili, aspirapolvere acceso, tv, telefono, musica e sobbalzi per addormentarsi.
Il neonato deve “abituarsi” dicono.
Così già appena nato viene spostato da una persona all’altra, cambiato pannolino in qualunque posto si trovi con noncuranza generale, messo a terra, spostato, messo nel box, messo nella cullina, nel dondolo e ancora via un altro giro di giostra, sempre pronti a danzare.
Viene poi usato il famoso silenziatore dei neonati : il ciuccio. Così si deve abituare e non dare fastidio.
Mi chiedo….che razza di società siamo?
Una società che non ha tempo per i piccoli neonatini, come se i futuri uomini non fossero gli stessi neonati che abbiamo davanti.
Non c’è tempo per fermarsi ad ascoltare un neonato, ad adorarlo, a vederlo piano piano scoprire il mondo.
E’ che l’egoismo incalza il tempo, e il tempo donato ad altri sembra tempo tolto a sé stessi.
Ecco, io credo che sia esattamente il contrario.
Il tempo che doniamo è tempo che ci ritorna. Sempre.
Ci sono molte culture invece, soprattutto le culture orientali, dove questo tempo, l’esogestazione, è perfettamente contemplata.
In culture Indonesiane ad esempio il neonato non viene messo a terra fino a che non compie i 6 mesi, non ha alcun contatto con il terreno né con estranei. Questo perché il periodo dopo il parto è considerato sacro. Secondo questa credenza il bambino appena nato rappresenta ancora una forma di divinità, è ancora venerato. Dopo sei mesi circa il bambino è pronto a divenire forma terrena e allora viene organizzata una vera e propria celebrazione in occasione della prima volta in cui i piedini di quel bambino toccano il terreno, si ricongiungono quindi alla terra.
Che bello che è credere e riconoscere nel bambino appena nato un essere superiore. E’ l’adulto che impara dal bambino, e non il bambino che si adatta all’adulto.
Anche in molti popoli indiani la donna subito dopo il parto mantiene un periodo di protezione dagli agenti esterni, viene accudita, nutrita, accompagnata, affinché possa al meglio occuparsi del suo bambino. Non escono subito fuori, ma vengono presentati alla comunità dopo qualche tempo, proprio per dar modo alla nuova mamma e al bambino di riorganizzarsi alla nuova vita separata.
Antichi saperi sanno quanto questo periodo sia fondamentale, sanno come da questi nove mesi fuori si sviluppa poi il futuro di quel bambino.
Allora perché non riscoprirli, non richiamarli alla memoria del nostro “popolo occidentale” che invece sembra aver dimenticato questi ritmi?
9 mesi dentro e 9 mesi fuori…..questo il tempo necessario.
Ogni nascita, ogni nuovo bambino ha un ritmo e un tempo unico, mai esistito. Ha un profumo, inconfondibile e ogni mamma lo sa, lo riconoscerebbe ovunque.
E se vi dicessi che c’è anche un movimento o un gesto che ogni madre è in grado di riconoscere e che lega in modo eclatante la vita dentro e fuori dall’utero???
Durante la gravidanza la madre, se è riuscita ad entrare in contatto con sè stessa e con il proprio bambino, si sarà resa conto che all’ interno della pancia il bambino effettua dei movimenti; a volte improvvisi, a volte minuscoli, a volte simili tra loro o che si ripetono.
Se una mamma pone in ascolto il proprio corpo si dice che riesca a percepire la posizione del proprio bambino, dove ha la testa, le gambe…
Secondo me esiste un nesso tra questi movimenti interni e i futuri movimenti del bambino una volta uscito dal ventre materno.
Come se ne conservasse “la traccia”.
Se andiamo ad indagare , tutti i bambini e anche gli adulti richiamano spesso, maggiormente durante il sonno ma anche in molti altri momenti, la posizione fetale, così definita proprio perché è la posizione del feto all’interno dell’utero.
Spesso assumiamo tale posizione inconsciamente, come un tentativo di riproiettarci là, in quello spazio senza tempo.
Se facciamo attenzione (e questo tempo di quarantena ci ha offerto molti spunti di riflessione e modalità per richiamare a noi il tempo dell’osservazione!) se facciamo attenzione e utilizziamo il potentissimo strumento che la natura gratuitamente ci ha messo a disposizione, ovvero la capacità di osservare, di restare, ci accorgeremo che il nostro bambino appena nato fa spesso uno stesso movimento.
Magari è un movimento piccolo, magari sempre nello stesso momento della giornata, o nello stesso spazio della sua routine, ad esempio poco prima di addormentarsi o subito dopo aver ciucciato.
Se lo osserviamo attentamente e ci lasciamo pervadere dalla sensazione che tale movimento genera in noi, riusciremo a cogliervi un legame con la vita intrauterina. Il nostro bambino mantiene ancora il ricordo di quel luogo, dell’essere stati in due in un solo corpo.
E allora se lo avete in braccio, se lo sentite, allora si che il legame vi apparirà chiaro e lampante, limpido e cristallino davanti agli occhi.
Lo stesso movimento che produceva all’interno del corpo materno, lo riproduce fuori. Evoca una sensazione.
Lo psicologo Gino Soldera, presidente dell’Anpep, sostiene riguardo la continuità dentro fuori dell’utero, che oltre all’ambiente e all’ereditarietà genetica esiste un terzo elemento che concorre alla formazione di un individuo: “L’individualità, una specificità propria del bambino che ha origine al momento del concepimento. Se la futura mamma è in ascolto, la può avvertire già durante l’attesa.”
Ci sono quindi movimenti propri del piccolo esserino che si sta formando, solo suoi, unici.
Quello che mi è capitato di sperimentare in questi giorni, a pochi giorni dal parto, a pochi giorni dalla nascita di mio figlio, talmente pochi che ancora ne conservo vivo il sapore, è proprio qualcosa che richiama vivo questo legame..
E forse è proprio in questo breve periodo che se ci concediamo di osservare, riusciamo a scoprire.
Concentrarmi sul sentire, sul vissuto, ha fatto in modo di potermi focalizzare su un aspetto fino ad ora poco preso in considerazione.
Mio figlio, appena finito di ciucciare al seno, poco prima di addormentarsi, ancora appoggiato al mio braccio sinistro, rotea verso l’alto la testolina, strusciando la parte alta della fronte e degli occhi sulla parte interna del mio braccio, lo fa tre volte, poi si addormenta. E’ come se cercasse un rifugio, contro la mia pelle, pelle contro pelle, vicino al cuore, come se fosse IL luogo, l’unico luogo dove restare e poter riposare. E’ come se si stesse preparando il nido.
Ho chiuso gli occhi e l’ho sentito lì, che premeva nello stesso modo in basso contro la matrice uterina, l’ultimo mese, scalciava e si rufolava, poi premeva verso il basso roteando il capo, esattamente nello stesso modo.
È magico pensarlo ancora lì dentro, ed è altrettanto magico accorgersi di poter sentire ancora quella meravigliosa sensazione.
L’invito dunque è quello di prestare attenzione, di fermarsi ed osservare il bambino che abbiamo davanti, il nostro complice di viaggio, di ascoltarlo, di venerarlo, di ammirarlo. Ascoltiamo il linguaggio del suo corpo, è lui a guidarci adesso.
Ho pensato molto in questi giorni di quarantena, alla parola “cose” perché spesso parlando con i miei figli mi sono accorta di quante volte utilizzo la parola “cose” per sostituire una serie sconfinata di termini, soprattutto quando mi riferisco ad avvenimenti generali, quando cerco di spiegare un concetto globale o quando parlo di emozioni.
“ci sono certe cose che fanno paura…”
“Questa cosa mi fa veramente arrabbiare..”
“che meraviglia…queste si che sono le cose che ci rendono felici…..”
Il termine cosa e cose riecheggia spesso nel nostro modo di esprimersi.
Ed è in realtà un termine dotato di un’immensa magia a mio avviso, in quanto non è ne’ positivo ne’ negativo, si tratta infatti di un termine neutro.
“come se ci fossero cose che possono essere l’uno e l’altro”.
In un momento particolare come questo, che abbiamo vissuto nei giorni passati e che ci troviamo tutt’ ora a vivere, ai bambini deve poter essere data la possibilità di esprimersi, sinceramente, e ogni volta che ne sentono il bisogno. Così ho pensato di cercare un posto per tutte queste “cose“. Un luogo che ognuno possa trovare, accessibile a tutti i membri della famiglia.
Ed ho trovato un sacchettino. Piccolo ma infinito. Si può aprire e può contenere, ma si può chiudere o lasciare vuoto.
Il sacchettino delle “cose”
quali cose?
Tutte quelle che vogliamo.
Cosi ecco .. . .cercate un sacchettino in casa, o createne uno, ritagliatevi un momento, magari a fine giornata, e riunitevi intorno al sacchettino. Tenetelo sempre in un posto dove i bambini possano prenderlo liberamente, dove il loro sguardo si possa posare, dove poter andare a colpo sicuro nel momento in cui ne avranno bisogno.
E a turno, mettiamo dentro al sacchettino, quello che vogliamo, facendo proprio il gesto di prendere le parole che diremo e metterle all’interno. Qualsiasi cosa sarà in grado di contenere quel sacchettino, perché va al di la’ di ogni struttura, proprio come la percezione delle nostre emozioni. Così metterò una cosa che mi ha ferito, una cosa particolare che mi ha colpito, una cosa successa che mi ha fato arrabbiare, una cosa speciale, una cosa che mi piace.
In forma di pensiero, di parola, di gesto.
In assoluta assenza di giudizio. Ripeto senza giudizio.
Non c’è un “perché” raccontiamo proprio quella cosa, non c’è un motivo in quel momento, o meglio c’è sicuramente ma a noi non interessa ora, perché se prima non impariamo a “stare” non impareremo mai a comprendere ed accogliere.
Dobbiamo stare li in quel momento con quello che c’è e dobbiamo permettere ai nostri figli di imparare a fare altrettanto.
“Stare” con quello che c’è, semplicemente.
Accogliete sempre quello che emerge dal vostro bambino anche se inizialmente sembrerà che ripeta quello appena detto da voi o da un altro membro della famiglia, piano piano acquisirà sicurezza e proverà a formularlo da solo aprendo così una piccola finestra sul suo mondo interiore, lasciandoci intravedere di cosa è fatto.
In questo momento ce ne è davvero bisogno, ed è un grande strumento quello che gli state dando.
Così una alla volta ognuno avrà cura di mettere le sue cose tutte dentro a quel sacchettino e di chiuderlo bene perché non escano.
Poi insieme al bambino ci dirigeremo alla finestra, la apriremo e con gran cura come se tra le mani tenessimo un immenso tesoro ( perché alla fine dei conti quella è la realtà) apriremo il sacchettino con molta delicatezza.
“è ora di lasciare andare…quello che abbiamo messo qui dentro…”
Abbiate cura di svuotarlo bene ed assicuratevi che tutto tutto sia uscito da quel piccolo mondo temporaneo.
Non è un buttare via, ne un nascondere, ne un far finta che non esistano. . .tutt’altro.
È un riconoscere . . .
È un accogliere . . .
È un far diventare parte di noi, del nostro mondo .. .
Presi dalla malattia e dalla morte, non dobbiamo però dimenticarci della vita, della nascita, dei nuovi bambini che vengono al mondo e delle nuove mamme che nascono con loro.
La nascita è sacra e come tale deve essere rispettata e tutelata. Deve essere salvaguardata….ogni mamma deve poter mettere al mondo il proprio figlio non solo nel rispetto della propria e dell’altrui salute ma anche e soprattutto nel rispetto della propria sfera emotiva.
Il parto porta con sé infinite sensazioni, emozioni …e ognuna di esse serve al nuovo mondo e alla nuova vita che si sta per creare.
In questo momento storico, il rischio che la paura sopraggiunga al posto della gioia è a dir poco facile .
Troppe mamme stanno vivendo situazioni complesse e difficili…per la tutela della salute fisica, non si preserva la salute mentale.
Mamme lasciate sole nei giorni successivi al parto, che abbiano avuto parti naturali o cesarei…, impossibilitate a vedere anche solo uno dei propri parenti, non un abbraccio, non un bacio da qualcuno della propria famiglia. Ai papà viene a malapena concesso di stare al fianco della propria moglie e compagna e del proprio figlio che ha aperto gli occhi sul mondo solo poche ore prima.
LA NASCITA VA TUTELATA, LE DONNE VANNO TUTELATE.
E questo dovrebbe poter essere possibile in ogni ospedale.
Cose piccole ma fondamentali:
– garantire la presenza di almeno una persona vicino alla puerpera durante il parto e durante la degenza in ospedale, affinché sia rasserenata, aiutata negli spostamenti, aiutata nei pasti e nelle prime cure che il piccolo esserino richiede.
– garantire il contatto madre bambino nei primissimi momenti dopo parto e nei giorni successivi, nella calma e nella tranquillità che ogni nascita merita, e permettere ad ogni mamma di poter allattare.
– garantire alla donna una libertà di movimento durante il travaglio,ed essere informata sulle decisioni mediche.
Questi sono solo alcuni dei punti chiave che l’Oms ha ribadito per tutelare i diritti delle donne, dei bambini e della nascita in questa emergenza Coronavirus.
Il parto, i primi momenti dopo il parto e i primi giorni sono fondamentali ed hanno grandi ripercussioni sull’allattamento, sulla salute mentale della mamma, e sono vitali anche al fine di evitare depressioni post partum. Sono altrettanto importanti per il bambino, che supera e si adatta dopo il trauma della nascita al nuovo mondo, ha fatto un lungo viaggio.
Da quei primi momenti dipenderanno molte vite future, dipenderà la qualità di vita dei nostri figli, del nostro domani…..non dimentichiamolo mai.